L’unico paese dell’Asia centrale con una volontà democratica sembra essere il Kirghizistan. Ma ora sta compiendo passi falsi sulla libertà di stampa, ossigeno per la democrazia.
Il Kirghizistan, l’unico paese dell’Asia centrale dove vige una relativa, per quanto fragile, apertura verso i valori democratici, sta facendo dei preoccupanti passi indietro sul fronte della libertà di stampa.
A fine maggio otto giornalisti della testata investigativa Kloop Media sono stati fermati e interrogati, senza poter parlare con un avvocato per ore. Due di loro sono detenuti in custodia cautelare fino al 21 luglio con l’accusa di “incitazione a disordini di massa”.
Un giro di vite, quello avviato dalle autorità kirghize, che ha allarmato i difensori dei diritti umani. Dieci organizzazioni internazionali per i diritti umani tra cui Human rights watch hanno infatti firmato una dichiarazione congiunta per chiedere l’immediato ritiro delle accuse e soprattutto una risposta più decisa da parte dell’Unione europea, che ad aprile ha avviato una partnership strategica con i paesi dell’Asia centrale, tra i quali anche il Kirghizistan.
#Kyrgyzstan: We have serious concerns over the “foreign representatives” law due to come into force. It threatens the work of NGOs & violates rights to freedom of expression & association.
We call on authorities to repeal the law and respect international human rights standards.
Il giro di vite contro il giornalismo indipendente
Kloop Media è considerata una delle testate investigative più autorevoli del paese. Negli anni ha pubblicato diverse inchieste su corruzione, nepotismo e disinformazione all’interno dell’amministrazione pubblica. Nel febbraio 2024 un tribunale della capitale kirghiza Bishkek ha ordinato la chiusura della testata, sostenendo che le sue inchieste “minano la fiducia nelle istituzioni governative”. Da allora il sito è stato bloccato in Kirghizistan, ma continua a pubblicare contenuti.
“La detenzione dei giornalisti di Kloop Media è l’ennesimo esempio lampante di come l’apparato di sicurezza del Kirghizistan venga utilizzato per soffocare il dissenso e smantellare il giornalismo indipendente – ha dettoMarie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale –. Queste azioni sono chiaramente mirate a intimidire le voci critiche”.
Quello di Kloop Media non è il primo caso di bavaglio. L’anno scorso il sito indipendente Mediazona aveva denunciato perquisizioni e interrogatori ai danni di decine di giornalisti legati ad altri progetti online come Ait Ait Bese e Temirov Live. Undici sarebbero stati arrestati e due di loro hanno ricevuto condanne fino a sei anni di carcere. Anche l’avvocato di alcuni degli imputati, Samat Matsakov, è stato arrestato.
Secondo Mediazona, il ministero dell’Interno kirghizo avrebbe aperto un procedimento contro queste testate con l’accusa di incitamento a disordini di massa. Anche la redazione del portale 24.kg è stata perquisita ed è stato aperto un procedimento contro la testata per “propaganda di guerra”.
A differenza dei paesi vicini, dove il crollo dell’Unione Sovietica ha portato all’ascesa di sistemi autoritari e repressivi, il Kirghizistan negli anni si è distinto per aver avviato un timido processo di democratizzazione, unico in tutta l’Asia centrale.
Le rivoluzioni popolari avvenute nel 2005 e 2010, che hanno portato alla destituzione dei leader considerati corrotti e autoritari, hanno aperto la strada a un sistema di governo parlamentare caratterizzato da un maggior pluralismo politico e da una certa indipendenza della stampa.
Alle rivolte del 2010 ha fatto seguito la prima transizione pacifica del potere, avvenuta dopo elezioni presidenziali relativamente libere e trasparenti.
Pur continuando a fare i conti con gravi problemi strutturali come la corruzione e la violazione dei diritti umani, il Kirghizistan negli ultimi anni aveva intrapreso una svolta democratica promettente. Almeno fino al 2020, quando è iniziata la terza rivoluzione in quindici anni, scoppiata a seguito di presunti brogli alle elezioni parlamentari. Nel caos delle rivolte, il politico populista Sadyr Japarov è stato liberato dal carcere dove stava scontando una condanna a undici anni per il rapimento di un funzionario locale ed è riuscito in breve tempo a scalare la piramide del potere, fino a ricoprire la carica di presidente.
La presidenza di Japarov – considerato da molti “l’uomo del popolo”, “voce di chi non ha voce” – è caratterizzata da richiami nazionalisti che hanno trovato terreno fertile soprattutto nelle aree rurali e nelle regioni più povere del paese. E da quando è salito al potere ha sfruttato la sua popolarità (è il politico kirghiso più seguito sui social network) per modificare la costituzione, rafforzare il potere esecutivo e limitare le libertà, sempre nel nome del “popolo”.
Le azioni di Japarov, sostengono alcuni analisti, sono significative perché “rappresentano un passaggio dall’autoritarismo vecchio stile a nuove forme di consolidamento del potere autocratico e illiberale sotto la maschera del consenso popolare”.
Ora la nuova costituzione voluta da Japarov ha ridotto il numero dei parlamentari, ha concesso al presidente maggiori poteri legislativi e ha eliminato il limite di un solo mandato presidenziale.
“Il presidente del Kirghizistan sta trasformando il Paese in un classico regime autoritario attraverso la repressione dei media, l’eliminazione dell’opposizione, l’intimidazione delle élite e il culto dell’uomo ‘dei nostri al potere’”, ha commentato l’esperto di Asia centrale del Carnegie Endowment, Temur Umarov.
Secondo molti difensori dei diritti umani, le azioni intraprese contro i giornalisti della testata investigativa Kloop Media farebbero parte proprio di questo schema.
La reazione dei difensori dei diritti umani
In risposta a questo giro di vite, diverse organizzazioni internazionali hanno firmato una lettera per chiedere l’immediato ritiro delle accuse ai danni dei giornalisti e un’azione più netta da parte dell’Unione europea.
Il fermo dei giornalisti di Kloop Media è un “chiaro tentativo di intimidire e soffocare il giornalismo investigativo della rivista, minando ulteriormente lo spazio, già in declino, per il dissenso e il giornalismo indipendente”, si legge nella dichiarazione.
As the crackdown on the free press in Kyrgyzstan continues, a local court there ordered our member center Kloop Media to shut down.
— Organized Crime and Corruption Reporting Project (@OCCRP) February 14, 2024
“Esortiamo i partner internazionali del Kirghizistan, in particolare l’Unione europea, ad assumere una posizione pubblica decisa e a chiedere la fine dello smantellamento del giornalismo indipendente nel Paese”, scrivono gli attivisti.
Proprio pochi mesi fa, nel novembre scorso, l’Unione europea e la Repubblica del Kirghizistan avevano tenuto il loro quattordicesimo Incontro sui diritti umani per rafforzare la cooperazione in materia di diritti umani, libertà fondamentali, stato di diritto e società civile. Durante l’incontro i rappresentanti dell’Ue avevano manifestato perplessità sull’effettiva libertà di espressione, di riunione e di associazione nel Paese.
A questo incontro ha fatto seguito un altro importante summit: il primo vertice ad alto livello tra i rappresentanti dell’Unione europea e i leader dei cinque Stati dell’Asia centrale, tra cui il Kirghizistan.
Un vertice definito storico, perché ha sancito l’inizio di un nuovo partenariato strategico tra le due regioni.
E chissà che la partnership con Bruxelles, che almeno sulla carta punta a rafforzare la cooperazione con la regione, possa servire quantomeno ad arginare la deriva autoritaria nella quale rischia di scivolare il paese.
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